Vi
consiglio un libro:
MI
CHIAMO LUCY BARTON di Elisabeth Strout.
Elisabeth Strout è una
scrittrice americana nata a Portland il 6 Gennaio 1956, ed è grazie
alla vincita del premio Pulitzer nel 2009 con il suo romanzo
Olive Kitteridge che ha potuto allargare la sua cerchia di
fedeli lettori.
“Mi
chiamo Lucy Barton”
è un libro edito da Einaudi
con la traduzione di Susanna Basso. Sesto libro della scrittrice, è
uscito nelle librerie italiane il 3 maggio 2016, riscuotendo un
enorme successo e confermando il talento che questa autrice aveva già
dimostrato con i
lavori precedenti.
"Ci
fu un tempo, ormai molti anni fa, in cui dovetti trascorrere quasi
nove settimane in ospedale. Succedeva a New York e
la notte, dal mio letto, vedevo davanti a me il grattacielo Chrysler
con la sua scintillante geometria di luci. Il giorno spegneva la
bellezza dell'edificio che, a poco a poco, ridiventava solo
l'ennesima immane architettura stagliata contro il cielo azzurro e,
come le altre, remota, silenziosa, altera."
Costretta a rimanere in ospedale dopo le complicazioni dovute ad un intervento, Lucy si sofferma ad osservare il paesaggio al di fuori della finestra della sua stanza. Proprio davanti a lei si trova il grattacielo Chrysler, un enorme e illuminatissimo palazzo che non appena sorge il sole, perde il suo scintillio per ritornare a fare parte delle tante figure anonime dello skyline di New York.
Con
questa introduzione, Elisabeth Strout incomincia a raccontarci di
Lucy, e dell'incontro con la madre.
Non
accadeva da anni, e Lucy non pensava che fosse più possibile.
Sua
madre aveva paura di volare, eppure in quel preciso momento si
trovava in piedi davanti a lei. La
vede all'improvviso, vicino
alla porta. Un attimo dopo se la ritrova accanto, e nonostante
i tanti
anni di lontananza
e
le tante cose che le erano
successe,
le
poche parole che le vengono in
mente le
muoiono in bocca.
La
protagonista si accorgerà
di
non sentirsi
più legata emotivamente a lei,
e quando sua
madre le
si avvicinerà
e la saluterà,
lei
si
limiterà
a contraccambiare.
La
madre rappresenta l'unico collegamento alla famiglia e al suo triste
passato, ed è proprio per questo che Lucy si sente giudicata in ogni
sua azione.
Rimarrà
accanto a lei cinque giorni e cinque notti, senza mai dormire. Le
poche parole che si scambieranno all'inizio, con la vicinanza e la
solitudine alla quale le due sono costrette, si trasformeranno in
breve tempo in una cascata di ricordi e emozioni diluiti con silenzi
e pause di riflessione.
Durante
la narrazione, la protagonista si ritroverà a riflettere su come il
rapporto con la sua famiglia e il passato, si sia riversato nella sua
vita nella grande mela, dove ora è una scrittrice che gode di un
discreto successo.
Rimarrà
sconcertata nel ricordare avvenimenti che erano scomparsi dalla sua
mente, e a riguardo dei quali la madre non fa cenno: dal metodo
particolare con cui i suoi genitori la punivano, fino al rapporto con
un'altra scrittrice di New York, composto da dialoghi brevi e diluiti
nel tempo.
Questo
romanzo è uno dei rari casi in cui l'autrice parla di una vicenda a
sfondo famigliare in così poche parole; in non più di centosessanta
pagine, riuscirà a trattare in maniera più che esaustiva alcuni
argomenti universalmente noti come il rapporto tra madre e figlia,
l'insicurezza, e il dolore. E sarà proprio il dolore, tra tutti,
la costante di questo libro.
Quanto
appena scritto, è solo una misera parte di quello che troverete
leggendo questo romanzo. Nella brevità dei suoi capitoli, Elisabeth
Strout riesce ad affascinarci come solo una scrittrice talentuosa e
competente è in grado di fare.
Libro
consigliatissimo,
Parola
di lettore.
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