domenica 26 marzo 2017

La ragazza di Bube di Carlo Cassola


Carlo Cassola è uno scrittore italiano nato nel 1917 e deceduto nel 1987. È considerato uno degli scrittori più importanti del dopoguerra, periodo storico che lo scrittore descrive con maestria in diversi romanzi. “La ragazza di Bube”, pubblicata nel 1960, è la sua opera più famosa, nonché vincitrice del premio Strega di quell'anno. Nella recente edizione Oscar Classici conta 252 pagine.

Mara, una ragazza toscana di umili origini, incontra Bube, compagno partigiano del fratello defunto. I due finiscono per innamorarsi perdutamente l'uno dell'altro. Tutto sembra andare secondo i piani finché Bube non confessa a Mara di aver avuto un problema con la legge e che a causa di questo è costretto a scappare all’estero. Così i due si allontanano per lungo tempo. Lei non è preparata a questa situazione, e a lungo andare finisce per chiedersi se il suo amore sia reale o meno. Decide quindi di cambiare aria e di andare a lavorare presso una famiglia ricca in un altro paesino. Lì conoscerà un altro ragazzo del quale si infatuerà e che metterà a dura prova la sua relazione con Bube.


Ha detto: “Solo di fronte a te mi sento colpevole. Gli altri sono tutti più colpevoli di me... Tu sola non hai colpa”. Invece anch’io ho colpa! È anche mia la colpa! Quello che gli era sempre mancato, era una ragazza che gli volesse bene... Se l’avesse avuta prima, non avrebbe fatto quello che ha fatto. Ma io ero una stupida ragazzetta: non capivo, non capivo! L’ho amato troppo tardi... quando ormai l‘irreparabile era accaduto. Sì, la colpa è anche mia: è soprattutto mia.


Per capire al meglio l’intera storia e comprendere alcuni comportamenti dei personaggi (Bube in primis), bisogna collocare l’intera vicenda all’interno di un contesto storico ben preciso.
Siamo negli anni del secondo dopoguerra italiano; in un clima politico teso a causa delle elezioni incombenti in cui divaga una confusione generale, sopratutto tra il ceto medio basso della popolazione. All’interno di questo clima confuso e instabile, le persone non sanno come reagire in determinate situazioni. È in questa Italia allo sbaraglio, che Bube, per vendicare un suo compagno, fredda con due colpi di pistola un carabiniere e il figlio. A poche ore dal crimine è già ricercato in tutta la regione toscana; per questo  gli viene chiesto dai suoi compagni di scappare all’estero, in attesa che la situazione politica cambi a suo favore.
Come Bube, anche Mara è un personaggio “nuovo” rispetto ai canoni letterari dell’epoca. Nonostante la sua giovane età, è una ragazza tagliente, sveglia e intelligente, e anche se alcune volte vuole apparire superficiale come tutte le sue coetanee, non può fare a meno di dare ascolto al suo carattere forte, per certi tratti ribelle e già emancipato.

“La ragazza di Bube” è un’entusiasmante storia d’amore d’altri tempi che descrive allo stesso tempo una realtà difficile, dove amore e ostacoli riescono nonostante tutto a convivere.
Ho letto questo romanzo incuriosito dal fatto che fosse ispirato ad una storia realmente accaduta e ne sono rimasto davvero sorpreso.
A mio parere è un classico della letteratura italiana a tutti gli effetti, un romanzo che tutti almeno una volta nella vita dovrebbero leggere.
Trovo che per i temi trattati, quest'opera possa piacere davvero a chiunque. Cassola scrive di amore, di storia e persino di avventura; è impossibile rimanere impassibili davanti a due personaggi come Mara e Bube, due personaggi così diversi ma allo stesso tempo così legati l’uno all’altro.

Consigliato,
Parola di lettore.

domenica 12 marzo 2017

Gunnar Gunnarsson e il suo romanzo che ispirò "il vecchio e il mare" di Hemingway



E prima di passare in casa, strinse lo stoppino della candela tra due dita. È un atto di compassione verso la luce, non lasciare che si consumi invano.

Foto presa da http://bokmenntaborgin.is/en/

Gunnar Gunnarsson è uno degli scrittori islandesi più famosi di tutti i tempi. È nato a Fljótsdalur nel maggio del 1889, e benché abbia vissuto la maggior parte dei suoi anni nella capitale danese, durante la vecchiaia ha fatto ritorno nella sua terra natale dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita fino al 1975. Vanta una lunga e facoltosa carriera dedicata alla scrittura di romanzi che gli hanno anche permesso di venir nominato più volte al premio Nobel. Da giovane si rese conto che era improbabile vivere di scrittura in un paesino con poco meno di un centinaio di persone, così si trasferì in Danimarca dove dopo essersi impadronito del danese, incominciò ad utilizzarlo nelle sue opere; è per questo che una buona parte dei suoi scritti sono in danese e non in islandese. Solo nel 1939 fa ritorno in Islanda. Si trasferisce inizialmente in una fattoria per poi sistemarsi definitivamente nella capitale, dove rinuncia alla sua carriera narrativa per dedicarsi alle traduzioni in islandese dei suoi lavori compiuti negli anni passati.

Il suo lavoro più famoso, dal titolo originale in danese “Advent”, venne pubblicato per la prima volta nel 1936 in Danimarca, e si dice che ispirò Hemingway a scrivere “Il vecchio e il mare”. In Italia è arrivato solo pochi mesi fa con il titolo Il pastore d’Islanda. È infatti edito da novembre 2016 dalla casa editrice Iperborea con la traduzione di Maria Valeria D'avino, una postfazione dello scrittore islandese contemporaneo Jón Kalman Stefánsson tradotta da Silvia Cosimini, e una nota di Alessandro Zironi.
Devi sapere, caro Leó, che nemmeno il papa a Roma se la passa meglio di te e di me, o ha la coscienza più limpida.” Leó agitava la coda, disposto a credere a tutto quello che predicava il suo padrone, tanto più che ognuno di quei dogmi era accompagnato da un buon boccone.

Copertina del libro

Protagonisti di questa breve storia sono un uomo di nome Benedikt e i suoi due animali più fidati: un montone di nome Roccia e un cane di nome Leó. Sono loro che ogni anno a Dicembre lo accompagnano in giro per l’Islanda a salvare quelle bestie che altri contadini hanno dimenticato tra i paesaggi innevati e che sono destinate a morire in un gelo agonizzante. È il ventisettesimo anno di fila che compie quello che ormai per lui è diventato un vero e proprio rito al natale, ma le cose quest’anno non vanno come previsto. Infatti Benedikt si ritroverà a cercare molti più animali rispetto gli scorsi anni e camperà in una bufera di neve che gli farà perde le speranze di portare a termine il suo compito.

Chi non l’ha mai bevuto in una buca nella terra, a trenta gradi sotto zero e in mezzo a un deserto di montagne e tempesta, non sa cos’è un caffè.

Personalmente trovo “Il pastore d’Islanda” un piccolo capolavoro che supera di poco le cento pagine. I personaggi sono caratterizzati decisamente bene come poi tutti gli altri elementi di questa semplice fiaba. Anche qui, come capita quanto ci si ritrova a leggere un autore islandese o comunque proveniente del nord Europa, l’unica costante della storia è la natura. In questo caso l’inverno, tanto temuto quanto apprezzato dai personaggi della storia. Gunnarsson ci stupisce facendo comportare Roccia e Leó quasi come fossero due persone. Roccia, dal carattere distaccato e ben determinato e Leó, un eterno bambino giocherellone ma che al bisogno sa essere serio e diligente. 
Nella postfazione lo scrittore contemporaneo Jón Kalman Stefánsson ci racconta qualcosa di più su Gunnarsson e sul libro in questione. Gunnar Gunnarsson ha poco da invidiare al famoso premio Nobel per la letteratura del ’55 Halldór Laxness, conosciuto in tutta l’isola come l’autore per antonomasia. Purtroppo Gunnarsson ha fatto ritorno in Islanda solo da anziano, e forse questo suo distacco dalla sua terra natia ha fatto sì che venisse considerato più danese che islandese a livello artistico. Il punto forte di questo racconto, secondo Stefánsson è la semplicità della storia, che le ha permesso di essere accessibile a tutti, e la costante che la maggior parte dei libri di autori islandesi hanno, ovvero il rapporto tra natura e uomo. Qui l’uomo deve muoversi e ragionare di conseguenza, sottomettendosi alla natura e alle sue intemperie.

Parola di lettore.