lunedì 31 ottobre 2016

Rosemary's baby di Ira Levin

 
Vi consiglio un libro:

ROSEMARY’S BABY di Ira Levin.

Ira Levin è uno scrittore newyorchese classe ‘29. Oltre ad aver scritto un discreto numero di romanzi, ha anche contribuito alla scena teatrale e a quella televisiva scrivendo diverse sceneggiature.
Rosemary’s Baby è sicuramente il suo romanzo più famoso; è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1969 da Garzanti e oggi lo troviamo in libreria riproposto da SUR con la traduzione dello scrittore Attilio Veraldi. Ha un seguito uscito in America nel 1997 intitolato Son of Rosemary che purtroppo non è mai stato tradotto in italiano. Nel 2003, quattro anni prima della sua morte, Ira Levin ha ricevuto l’importante Mystery Writers of America, un facoltoso riconoscimento ai grandi autori di gialli, thriller e horror.
Giusto per citarne alcuni: Agatha Christie, Stephen King, Alfred Hitchcock e George Simenon.

Lei aprì gli occhi e vide due occhi gialli, ardenti, avvertì odore di zolfo e di radice di tannis, sentì un alito umido sulle sue labbra, udì i grugniti di piacere e di desiderio e l’ansimare degli spettatori.
Non è un sogno, pensò. Sta succedendo veramente. La protesta le sorse negli occhi e nella gola, ma qualcosa le coprì il viso, soffocandola in un dolce tanfo.”

Nonostante l’amico Hutch glielo avesse sconsigliato, Rosemary e Guy decidono di trasferirsi al Branford, un palazzo di origini vittoriane che deve la sua fama alla moltitudine di omicidi e suicidi che vi si sono compiuti all’interno. È l’appartamento dei loro sogni, dove possono convivere felicemente e dove finalmente il desiderio di Rose di avere tre figli potrebbe avverarsi. Appena arrivata Rose conosce Terry, una ragazza che si suicida poco dopo.
Alla luce di questo spiacevole evento, la sera seguente i vicini li invitano a cena. Minnie e Roman, che ospitavano la ragazza, sono una coppia anziana gentile quanto ficcanaso che inevitabilmente finisce per diventare parte attiva della loro vita privata. Nel periodo seguente sembra che la loro presenza e la loro amicizia renda la vita di Rose e Guy più facile. La carriera da attore di lui sembra avere una svolta superlativa, vivono nella casa dei loro sogni, e in più Rosemary scopre di essere incinta. Tutto sembra andare per il meglio, fino a quando nota una serie di fatti, forse coincidenze, che le fanno mettere sotto una diversa luce le parole che il vecchio Hutch le aveva dispensato e che all'improvviso le appaiono mostruose quanto veritiere.

Romanzo più celebre dell’autore, Rosemary’s baby è un chiaro esempio di come alcune opere provenienti da un’altra epoca riescono ancora oggi a sorprendere e ad emozionare i lettori. In questo caso la storia si svolge quasi esclusivamente all’interno del palazzo e non sono tanto le descrizioni dell’autore a rendere il romanzo più realistico, quanto i numerosi dialoghi. Le sensazioni, i personaggi e i loro sentimenti, vengono descritti indirettamente con una tale maestria da far immedesimare completamente il lettore. Durante la storia quindi ci si ritroverà a temere il peggio per Guy e Rose, a voler sapere qualcosa di più sui loro vicini, e a credere che tutto quello che succede non siano in realtà solo coincidenze ma i tanti piccoli pezzi di un terribile piano. Gli elementi che lo scrittore evoca fanno sembrare il tutto realistico, facendo dimenticare di stare leggendo una storia inventata. 
Credo che la protagonista abbia saputo fin dall’inizio come stavano le cose, le quali essendo incredibili e irrazionali si rifiutava di accettare. Se solo avesse dato ascolto fin da subito ai pensieri più profondi e se solo avesse collegato e accettato l’inaccettabile, forse le cose sarebbero andate in un modo diverso. E questo è un chiaro esempio di come a volte la realtà superi la fantasia.
Rosemary’s baby è un romanzo attuale, con una storia che potrebbe benissimo essere ambientata ai giorni nostri e farci comunque emozionare. È stato uno dei pochi romanzi horror che abbia mai letto a farmi venire i brividi. Il nome di Ira Levin viene spesso accostato al nome di Stephen King, il quale a sua volta lo cita diverse volte nel suo Danse Macabre, un saggio sulla letteratura horror. Tuttavia, King è un autore con un ampio repertorio di opere dalle tematiche crude e thriller (anche se spesso vengono accostate a bellissime storie d’amore) famoso per essere uno degli scrittori più prolifici al mondo. La sua scrittura è piena di dettagli, ed è questo che lo caratterizza. Ira Levin, al contrario, riduce le descrizioni al minimo indispensabile, e lascia che a parlare siano i personaggi della storia.  

Nel 1968 ne è stato tratto un adattamento cinematografico diretto dal polacco Roman Polanski accolto fin da subito come una delle opere migliori del regista e che divenne in breve tempo un cult del cinema. Nelle vesti dei due sposi troviamo Mia Farrow (Il grande Gatsby, Un assassinio sul Nilo) e John Cassavetes (Notte di terrore, Facce senza Dio e Fury).
Un paio di anni fa è uscita una miniserie con Zoe Saldana e Jason Isaacs che narra la storia scritta da Ira Levin in un contesto parigino. È composta di soli due episodi e oggi è possibile trovarla su Netflix.

Parola di lettore. 



domenica 23 ottobre 2016

I pesci non hanno gambe di Jón Kalman Stefánsson


Vi consiglio un libro:

I PESCI NON HANNO GAMBE di J. K. Stefánsson.

Jón Kalman Stefánsson è uno scrittore islandese nato a Reykjavík nel 1963. Prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, ha insegnato in alcune scuole superiori e ha scritto diversi articoli per un giornale locale. Dopo aver vissuto alcuni anni in Danimarca, ha fatto ritorno in patria lavorando come bibliotecario in una cittadina distante una ventina di chilometri dalla capitale. Ha debuttato nel mondo dell’editoria con tre libri di poesia per poi dedicarsi alla narrativa, dove ha riscosso un grande successo che gli ha permesso la vittoria del Premio Islandese della Letteratura nel 2005 con Luce d’estate ed è subito notte. Oggi, parte delle sue opere sono pubblicate per Iperborea e tradotte da Silvia Cosimini. I pesci non hanno gambe, pubblicato per la prima volta in Italia nel 2015, è il primo romanzo di un dittico che vede al seguito Grande come l’universo, di recente pubblicazione (2016).

Da qui si vede bene il porto, il suo vuoto spalancato e senza speranze, come se fosse caduto di mano a qualche dio che poi l’ha dimenticato. Tre vecchi marinai se ne stanno in piedi all’estremità del pontile, da dove vedono meglio l’oceano, le mani abbandonate lungo i fianchi, vuote, inattive, e guardano l’unico peschereccio che oggi rientra. Vado a prendere il binocolo in macchina, lo porto agli occhi, c’è un accenno di amarezza o di pena nei loro volti – quasi fossero scesi al molo per controllare se gli anni spariti siano stati ripescati nelle reti.”

I pesci non hanno gambe è una storia famigliare che si svolge a cavallo di tre generazioni in due punti opposti dell'Islanda. Keflavík, una cittadina industriale nel sudovest dell'isola, e il Norðfjörður, una piccola località del nord-est. Il narratore ci parla di Ari, che un giorno decide di mandare all’aria il matrimonio e scappare in Danimarca, e dei suoi nonni Margrét e Oddur, che molti anni prima si erano conosciuti sulle rive del Norðfjörður, dove al tempo del racconto si viveva quasi esclusivamente di pesca.
Come sua nonna, che dopo alcuni anni passati lontano dall'isola aveva fatto ritorno e si era innamorata di Oddur, anche Ari, stanco della sua vita in Danimarca e soffocato dai rimorsi, decide di tornare a casa. Si da appuntamento con il narratore in un hotel a Keflavík, dove assieme ad una modesta quantità d’alcol vomita fuori tutti i ricordi e le emozioni che per tanto tempo aveva cercato di soffocare. Queste due storie, che vengono raccontate dal narratore attraverso un'alternanza di presente e passato, orbitano attorno alle stesse emozioni: l'amore per la propria donna e quello contrastante per la propria terra.

La cosa che salta subito all’occhio leggendo le prime pagine del libro è il particolare timbro che caratterizza la scrittura dell'autore. Stefánsson scrive e parla come un poeta, utilizzando frasi ermetiche che rimandano ai periodi descritti e agli ambienti che circondano le due storie. Le sue descrizioni non sono solo dettagliate, ma anche poetiche e musicali, dipinte con i colori dell'Islanda del Nord e quelli cupi e tristi di Keflavík, dove come ci dirà l'autore, esistono tre punti cardinali: il vento, il mare e l’eterno. In una terra che per migliaia di anni è stata dura con i propri abitanti, dove la forza della natura è onnipresente nelle vite di chi la abita, lo scrittore narra del rapporto tra uomo e mare e tra uomo e poesia, un’arte così bella che purtroppo al giorno d'oggi pare quasi scomparsa.
È uno di quei libri che con le sue parole riesce a colmare il vuoto che lui stesso crea. Traspare Keflavík e il Norðfjörður, la pianura, la montagna e il mare, quell’enorme distesa d’acqua che tanto da e tanto toglie. Attraverso le parole di questo strabiliante autore, sembra proprio di essere su un peschereccio nel Norðfjörður con Oddur oppure assieme ad Ari in un albergo nella cadente Keflavík. A mio parere la scrittura dell'autore ha subito forti contaminazioni dovute ai primi scritti poetici, tanto da rendere un romanzo di trecentosettanta pagine, una lunga e unica poesia.
I pesci non hanno gambe è stato il primo romanzo che ho letto di questo scrittore islandese, e anche se inizialmente non è stato facile abituarmi al suo particolare stile narrativo, trovo che sia l'unico adatto per raccontare questa storia; se il suo obbiettivo era rappresentare la sua terra e le sue persone, lo ha raggiunto.
È una lettura importante, non propriamente leggera, ma che sicuramente arricchirà l'anima di chi la legge.

Parola di Lettore.

giovedì 13 ottobre 2016

Lo schiavista di Paul Beatty


Vi consiglio un libro:

LO SCHIAVISTA di Paul Beatty.

Paul Beatty è uno scrittore americano nato nel 1962 a Los Angeles e oggi residente a New York. L’originalità della sua scrittura e dei suoi romanzi, tradotti in tutto il mondo, l’hanno reso uno degli scrittori contemporanei più apprezzati. Lo schiavista, pubblicato con il titolo originale The Sellout, è il quarto romanzo dello scrittore ed oltre ad essere stato accolto positivamente dai media di tutto il mondo, si è anche rivelato vincitore del premio Man Booker Prize 2016.
In Italia, è stato pubblicato pochi giorni fa con la traduzione di Silvia Castoldi per Fazi Editore.

"So che detto da un nero è difficile da credere, ma non ho mai rubato niente. Non ho mai evaso le tasse, non ho mai barato a carte. Non sono mai entrato al cinema a scrocco, non ho mai mancato di ridare indietro il resto in eccesso a un cassiere di supermercato."

Con questo incipit il protagonista della storia si presenta.
Bonbon è nero e vive a Dickens, una piccola e pericolosa zona periferica di Los Angeles, dove possiede e lavora in una modesta fattoria. Nelle prime pagine, ci troviamo assieme a lui a Washington DC, dove ammanettato, deve affrontare in processo la corte suprema degli Stati Uniti per aver posseduto uno schiavo. Ebbene sì, anche se i presenti in aula faticano a prendere sul serio una situazione che ha dell'incredibile, devono fare i conti con la realtà: un nero che ha schiavizzato un altro nero.
Attraverso una serie di flashback il narratore, nonché protagonista, ci racconta della sua vita particolarmente legata a quel quartiere. E nonostante tutto, anche se è un posto davvero molto pericoloso e povero, dove se una macchina rallenta bisogna buttarsi a terra per evitare di essere colpiti da qualche proiettile vagante, lui per varie ragioni ci è molto legato.
Le cose col tempo però cambiano, partecipa alle riunioni del gruppo che suo padre aveva fondato, i Dum Dum Donut Intellectuals, e si rende conto che nell’ultimo periodo Dickens sembra essere scomparsa. Così, con il suo amico nonché schiavo Hominy, attua un piano per riportare in vita il quartiere aiutandosi con la segregazione razziale.

Beatty attraverso una scrittura satirica e allo stesso tempo seria, pone il lettore davanti ad una storia particolarmente utopica delineata in un romanzo provocatorio dalla trama spettacolare per la sua originalità. 
Si parla del Bronx di Los Angeles, dove la povertà e il crimine fanno parte del quotidiano ed essere un poliziotto può costarti la vita, e di un uomo di colore, che con l'aiuto del suo schiavo, si lancia in un'impresa singolare.
Secondo il suo parere, lo schiavista – come viene soprannominato da chi non è d’accordo con le sue idee – non è lui, ma chi gli rema contro. Non crede che i problemi dei neri in America siano risolti, e tantomeno che si possano risolvere senza fare niente di concreto. Lo scopo delle sue azioni è quello di restituire un'identità agli abitanti di Dickens e al quartiere stesso, al quale sono riusciti a togliere anche il nome.
È per questo che quando si ritrova ad affrontare in un processo lo stato in cui vive lo fa con una tranquillità spiazzante, fuma uno spinello davanti alla corte suprema senza temere ripercussioni e non ha paura di andare in galera perché è la prima volta in vita sua che si sente così felice e in pace con se stesso, sicuro di aver compiuto le scelte giuste.

Quando lessi per la prima volta l'incipit di questo libro e la sua trama, non mi aspettavo neanche lontanamente di leggere una storia simile. È qualcosa di diverso da tutto quello che abbia mai letto, e penso proprio che se gli altri romanzi dell'autore sono interessanti anche solo la metà di questo, allora ci troviamo davanti ad un genio. 
È un libro per certi tratti ironico, sarcastico, ma che ha come scopo principiale quello di far riflettere chi lo legge. Una volta finito è entrato subito nella mia top ten di quest'anno, e mi sto già attivando per recuperare gli altri romanzi dell'autore editi in Italia: Tuff e la sua banda (Mondadori), e Slumberland (Fazi).

Parola di Lettore.

domenica 9 ottobre 2016

Harry Potter e la maledizone dell'erede di J. K. Rowling e Jack Thorne.

Vi parlo di un libro: 

HARRY POTTER E LA MALEDIZIONE DELL’EREDE di J. K. Rowling.

J. K. Rowling è una scrittrice inglese nata il 31 luglio 1965 a Yate. Conosciuta principalmente per aver creato il magico mondo di Harry Potter, è una delle scrittrici più influenti dell’ultimo decennio. Oltre ad i sette libri della saga del mago, è anche autrice de Il seggio vacante e della trilogia di gialli (Il richiamo del cuculo, il baco da seta, la via del male) scritta con lo pseudonimo Robert Galbraith. La saga di Harry Potter è pubblicata in Italia dal 1998 da Salani Editore, e oltre i sette libri – La pietra filosofale, La camera dei segreti, Il prigioniero di Azkaban, Il calice di fuoco, L’ordine della fenice, Il principe mezzosangue, I doni della morte – sono stati pubblicati anche i tre volumi della biblioteca di Hogwarts: il quidditch attraverso i secoli, Gli animali fantastici: dove trovarli e Le fiabe di Beda il Bardo. Nel 2016 viene annunciato lo spettacolo teatrale di Harry Potter and the Cursed Child, di cui recentemente è stato pubblicato il copione in forma cartacea. Questo non è direttamente opera della scrittrice bensì un adattamento teatrale ricavato seguendo le linee guida di una sua bozza. Harry Potter e la maledizione dell’erede è un libro successivo alla saga, tratta di una vicenda avvenuta diciannove anni dopo I doni della morte, e vede protagonisti Albus Potter e Scorpius Malfoy.
“Quando gli altri saranno risparmiati, quando il tempo sarà girato, quando figli non visti uccideranno i padri: allora tornerà il Signore Oscuro.”

Albus Potter e Scorpius Malfoy si incontrano sul treno diretto ad Hogwarts e stringono una profonda amicizia. Nonostante i loro genitori non siano mai stati amici, il fatto di essere legati a nomi conosciuti e importanti, crea una sorta di empatia tra i due. Albus ad Hogwarts non si trova affatto bene. Non ha molti amici, è impopolare, e come se tutto questo non bastasse è anche negato con la magia. Come l'amico, Scorpius, ha anche lui un carico notevole sulle spalle. Infatti dalla sua nascita si dice che sia in realtà il figlio di Voldemort, e questo fa si che tutti maghi lo evitino. Un anno dopo, durante una nottata insonne passata a rigirarsi nel letto di camera sua, Albus sente Harry parlare animatamente con Amos Diggory, il padre di Cedric. Si è venuto a sapere che il Ministero della magia dispone di una Giratempo, e Amos pretende che Harry torni indietro a salvare il figlio. Albus capisce che il padre ha le mani legate, e assieme a Scorpius, decide di andare a trovare il signor Diggory. Nella casa di riposo in cui vive, incontrano Delphi, una ragazza che fa da assistente all’uomo, dalla quale Albus si sente subito attratto. I tre, dopo aver convinto Amos di essere in grado di salvare Cedric, riescono ad entrare al Ministero della Magia e a rubare la Giratempo. Mentre i ragazzi compiono vari viaggi temporali in cui rischiano la pelle e combinano un guaio dopo l’altro nel tentativo di salvare Cedric, i loro genitori, con l’aiuto di Ron, Hermione e della loro ex professoressa McGonagall (ormai divenuta preside), cercano di capire dove sono scappati. Nel contempo si viene a sapere che il mondo dei maghi è in pericolo, ed è una profezia ad annunciare l’imminente ritorno di Voldemort. Così ancora una volta, Harry Potter e i suoi amici dovranno combattere la magia oscura in una serie di viaggi temporali che lo riporteranno alla notte in cui Voldemort ha assassinato i suoi genitori.

Prenotato online quasi un mese prima dell’uscita in libreria attirato dal riscontro mediatico che stava suscitando, Harry Potter e la maledizione dell’erede aveva attirato la mia attenzione più di quanto pensassi. Appena ho avuto la possibilità di leggerlo, non sono riuscito a staccarmene facilmente. È un libro molto scorrevole, si legge in pochissimo tempo, e nonostante mi abbia preso dal primo atto, è terribilmente pieno di difetti. La trama, tanto per cominciare, non è assolutamente al livello dei libri precedenti, e riguardo a questo, trovo che la Rowling abbia fatto un errore ponendo questo libro a seguito degli altri. Ci sono imperfezioni, forse troppe. La più evidente, almeno per quanto mi riguarda, è la fallimentare caratterizzazione di alcuni personaggi, tra i quali Ron e Silente. Il primo l’avevamo visto crescere e col tempo diventare più maturo e adulto, eppure in questo capitolo viene descritto come tonto. Silente, che qui appare in pochissime scene, sembra una cattiva imitazione del personaggio al quale la scrittrice ci aveva abituati. Dialoghi scialbi, di poche parole e privi di significato. Ci vengono presentati personaggi che avrebbero potuto avere un ruolo più rilevante ma che invece dopo le prime pagine non compaiono più. Parlo di James e Hugo, i fratelli di Albus Severus, che sono stati completamente inutili se non per riempire i primi dialoghi. È un peccato, perché se fosse stato sviluppato con più di cura, questo libro avrebbe potuto essere un degno successore della saga. Sembra quasi che Harry Potter e la maledizione dell'erede sia stato fatto in fretta e furia senza troppe pretese per accontentare il prima possibile i lettori più fedeli. Mi viene da pensare che forse se avessimo aspettato qualche altro mese, ora avremmo potuto stringere tra le mani un prodotto migliore, con una storia ben costruita, e con meno parti prevedibili (Si capisce la vera identità di Delphi già a metà libro). Nonostante tutto, trovo che questo sia un libro più che godibile se lo si prende per quello che è. Fa sempre piacere tornare, seppur per poche pagine, nel mondo dei maghi, e fa ancora più piacere rivedere il professor Piton. Il rapporto tra Draco e gli altri, con il timore di perdere i propri figli, sembra aprire una breccia sul gruppo, avvicinandoli, seppur di poco, come mai era successo prima. Sarà forse la nascita di un’amicizia? Per ora non c’è modo di saperlo, e probabilmente non lo sapremo mai. Ho apprezzato i viaggi temporali dei ragazzi e le scene di magia, che non vedo l'ora di veder rappresentate nello spettacolo teatrale. Trovo prive di senso le critiche dovute al fatto che non ci siano i pensieri dei personaggi o le descrizioni del luoghi. È un copione, e come tale, deve essere solamente una linea guida allo spettacolo. Se abbiamo letto gli altri libri, non è difficile mettere un po’ della nostra immaginazione; dopotutto stiamo parlando di Harry Potter, cosa sarebbe altrimenti senza la nostra fantasia?
A prescindere che sia riuscito o meno, secondo me l'intento di questo libro era divertire, facendoci incontrare nuovamente i personaggi che avevamo visto crescere nella saga. Non è un capolavoro e non mi sento di consigliarlo, ma è comunque una lettura per staccare da qualcosa di pesante. Se vi va, leggetelo, anche solo per farvi una vostra opinione davanti a tutti i pareri discordanti che stanno dilagando in rete da diversi mesi.

Parola di lettore. 

PS. dove diavolo è finito il nostro amato Rubeus Hagrid? 

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domenica 2 ottobre 2016

Io e te di Niccolò Ammaniti.




Vi consiglio un libro:

IO E TE di Niccolò Ammaniti.

Niccolò Ammaniti è uno scrittore romano nato il 25 settembre 1966. Oltre a Io e te, è autore anche di Branchie, Ti prendo e ti porto via, Io non ho paura, Come Dio comanda, Che la festa cominci, e Anna. Nel 2007 vince il premio Strega con il suo quarto romanzo intitolato “Come Dio Comanda”.
Io e Te è il suo terzultimo lavoro, un romanzo di formazione di poco più di un centinaio di pagine che vede come protagonisti Lorenzo e Olivia, due giovani dai caratteri contrastanti.

“Ho sbuffato e vergognandomi ho cominciato a ballare. Ecco la cosa che odiavo di più. Ballare. Ma quella sera invece ho ballato e mentre ballavo una sensazione nuova, di essere vivo, mi toglieva il fiato. Tra poche ore sarei uscito da quella cantina. E sarebbe stato di nuovo tutto uguale. Eppure sapevo che oltre quella porta c'era il mondo che mi aspettava e io potevo parlare con gli altri come fossi uno di loro. Decidere di fare le cose e farle. Potevo partire. Potevo andare in collegio. Potevo cambiare i mobili della mia stanza.”

Lorenzo è un ragazzino introverso con pochissimi amici che trascorre le giornate a giocare ai videogiochi e a leggere. Quando viene a sapere che alcuni suoi compagni di classe andranno insieme a sciare sui monti di Cortina, coglie la palla al balzo e dice a sua madre di essere stato invitato. Lo fa per farla sentire meglio, e perchè negli ultimi tempi la vede proccupata per lui. Nel sentirla così felice e spensierata si sente in colpa, decide quindi di confessarle di aver mentito. Ad un passo dal farlo, rinuncia, decidendo di risolversela in un altro modo. Prepara tutto il necessario per partire, ma la sua intenzione è di non allontanarsi più di qualche metro da casa.  
Si rifugia nella cantina di proprietà dei suoi genitori, dove nella solitudine che lui stesso crea, passa le giornate a leggere, giocare ai videogiochi, e a mangiare schifezze. Tutto sembra andare secondo i piani, fino a quando non sente la porta aprirsi, e da questa vede spuntare una ragazza di qualche anno più grande di lui. È Olivia, la sua sorellastra. Non hanno mai avuto la possibilità di conoscersi a fondo, ma date le circostanze che l'hanno spinta fino a lì, avranno tutto il tempo per farlo. Trascorrono tutta la vacanza assieme, e la vicinanza li costringe ad interagire. Lorenzo scopre tante cose, su di sè e su Olivia (tra tutte la sua tossicodipendenza), e così fa anche lei. Alla fine della vacanza, i due torneranno per la loro strada rammaricati di lasciarsi alle spalle i bei momenti trascorsi assieme, facendosi una promessa.

La semplicità di questo romanzo mi ha stupito. È un romanzo di formazione scritto in pochissime pagine, e come tale tratta di tematiche importanti per la crescita della persona tra le quali la tossicodipendenza, il rapporto tra madre e figlio, e la pre adolescenza.
Il personaggio di Olivia, che entra a fare parte della vita di Lorenzo con una spinta tale da scombussolarlo e far saltare i suoi piani, è molto importante per lui. Benché il momento in cui si conoscono non sia dei migliori per entrambi, passano da essere perennemente in contrasto ad andare d’accordo, e condividendo e confessandosi ricordi e pensieri privati, nasce tra loro un rapporto di concreta intimità. Lorenzo, che prima di incontrare la sorellastra era chiuso costantemente in se stesso, capisce che per essere felici non bastano libri e videogiochi, e che per ora i momenti più belli di tutta la sua vita, paradossalmente, sono quelli passati assieme alla sorellastra. 
Ammaniti come già annunciato, tratta il tema della tossicodipendenza in maniera esaustiva ma con la semplicità che lo caratterizza. Questo argomento, avvicinandoci alla fine del libro, sembrerà però sparire. Olivia nelle ultime pagine appare ripulita, e nell’epilogo, i due si rivedono come promesso, ma non come avrebbero voluto.
Io e te è stato il primo libro di Ammaniti che abbia mai letto e come tale è quello a cui sono più affezionato. Non solo trovo che la trama, per quanto fatta di argomenti triti e ritriti sia piuttosto originale, ma mi ha anche stupito a tal punto da voler leggere altre opere dello scrittore, il quale a mio avviso è molto sottovalutato. Le sue storie sono semplici, pure, e con quel po’ di ordinaria follia che fa sempre bene (ad esempio i racconti contenuti nella raccolta Fango o il romanzo Ti prendo e ti porto via). A mio parere è ideale per chi si vuole approcchiare per la prima volta a questo autore, ma è anche adatto per chi ha già letto altre opere. Corto, conciso e concreto.
Una nota da aggiungere riguarda il film. L’ho visto il giorno stesso in cui ho finito il libro, e nonostante i due finali siano diversi, lo trovo comunque molto valido.

Film consigliato e libro ancora di più.
Parola di lettore.
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